L’assegno divorzile è rappresentato da una somma periodica che viene corrisposta da un coniuge in favore dell’altro in caso di divorzio nell’ipotesi in cui tale soggetto sia privo di mezzi adeguati oppure per motivi oggettivi, non versi nelle condizioni di poterseli procurare.
Gli elementi in virtù dei quali viene disposta la corresponsione di tale assegno sono diversi: non si considera il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio bensì altri criteri quali, il reddito dei due coniugi, le ragioni sulle quali si fonda la domanda di divorzio e la durata del matrimonio.
Diversamente l’assegno di mantenimento è disposto a seguito della separazione dei coniugi e il suo scopo è quello di assicurare al coniuge meno abbiente il medesimo tenore di vita che aveva durante durante la vita matrimoniale.
A chi spetta l’assegno divorzile?
La sentenza n. 18287/2018 delle Sezioni Unite ha decretato il superamento dello “storico” criterio del tenore di vita dei coniugi come parametro di determinazione dell’assegno divorzile. Per circa trent’anni il criterio guida nell’interpretazione dell’art. 5, sesto comma, della legge sul divorzio è stato quello di attribuire all’avente diritto un assegno tale da consentirgli di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
Secondo il nuovo orientamento, al fine di stabilire se ed eventualmente in che misura spetti l’assegno divorzile, il Giudice in primo luogo dovrà comparare, anche d’ufficio, le condizioni economico – patrimoniali delle parti.
Qualora risulti che il richiedente è privo di mezzi adeguati o è oggettivamente impossibilitato a procurarseli, dovrà accertare rigorosamente le cause di questa sperequazione alla luce dei parametri indicati all’art. 5 sesto comma della Legge n. 898/1970.
In particolare dovrà valutare se ciò dipenda dal contributo che il richiedente ha apportato al nucleo familiare e alla creazione del patrimonio comune, sacrificando le proprie aspettative personali e professionali in relazione alla sua età e alla durata del matrimonio.
All’esito di tali valutazioni dovrà infine quantificare l’assegno divorzile, rapportandolo non più al pregresso tenore di vita familiare né all’autosufficienza economica del richiedente, ma assicurando all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo fornito come sopra indicato.
Si osserva, altresì, come ai sensi dell’articolo 5, comma 6, della legge sul divorzio sia contemplato che nel momento in cui viene considerata l’inadeguatezza dei mezzi in possesso di uno dei due coniugi, debbono essere messi sul piatto della bilancia alcune circostanze, quali ad esempio: l’impossibilità di riuscire a procurarsi gli strumenti essenziali per ragione di salute o perché non si riesce a trovare un impiego lavorativo in quella determinata dimensione storica e sociale; il sopravvenire di una convivenza more uxorio, che conduca al miglioramento delle condizioni economiche del coniuge economicamente più fragile.
Sul punto si rammenta, altresì, come detta contribuzione divorzile riveste una spiccata rilevanza in quanto costituisce la condizione necessaria al fine di poter beneficiare di altri sussidi, come ad esempio una quota della pensione di reversibilità dell’ex coniuge o del TFR.
L’assegno divorzile una tantum:
Per i divorziandi vi è anche la possibilità di scegliere la corresponsione dell’assegno di divorzio in un’unica soluzione. Esso si definisce appunto: “assegno divorzile una tantum” e il suo valore è pari a un ammontare forfettario con scopo di riequilibrio delle condizioni economiche delle parti, qualora una delle due non risultasse autosufficiente.
Detta contribuzione può essere pattuita solo all’atto del divorzio, infatti un’eventuale intesa raggiunta all’interno della separazione consensuale in relazione al versamento di un assegno una tantum si rivelerebbe nulla.